24 Nov Il Femminile nell’ombra
Spesso nel lavoro di conoscenza di sé emergono le parti caotiche dell’Io, che corrispondono alle forze individuali più ancestrali e profonde, potenzialmente molto creative, ma anche pericolosamente distruttive. E’ interessante esplorare queste forze in relazione all’energia del Femminile, in particolare alle trasformazioni simboliche della figura della Grande Madre, come premessa di un lavoro che possa integrare le due componenti, quella creatrice e quella distruttrice. Il livello archetipico del Mito coglie in tutte le sue sfumature la trama che pervade la storia del mondo, e va a rafforzare le infinite trasformazioni simboliche presenti nella biografia individuale.
La potenza del Mito si rivela nella bipolarità tipica delle antiche dee, in contrapposizione con la patinata unidimensionalità di figure tradizionalmente tramandate, come la Vergine Maria o la prima donna, Eva.
Queste ultime sono figure sacre spesso utilizzate per rafforzare esempi stereotipati, visibili in modo ripetitivo nelle diverse storie di sante. Ogni territorio, o regione, ne possiede numerose: modelli di rettitudine a tutto tondo che si traducono in principi operanti praticamente, la colpa, il peccato, il sacrificio e la penitenza.
Inducono atteggiamenti devozionali, ma anche destini generazionali: chi non possiede nel proprio albero genealogico “donne esemplari”, mogli e madri votate alla famiglia, alla Chiesa e alla patria? Esempi che vengono tramandati da madri a figlie, ma anche scolpite fin dalla nascita nell’immaginario maschile.
Indubbiamente, un tempo, questi modelli erano molto più presenti un tempo rispetto ad oggi. Tuttavia, nelle difficoltà del procedere quotidiano, ognuno di noi scopre quanto ancora è forte la potenza di questi archetipi. Emergono prepotentemente nella propria relazione con il Materno (sia per la donna rispetto al proprio stesso sesso che per l’uomo verso il sesso opposto).
S.Notburga di Eben
Vediamo qui ora alcune divinità, che, per loro natura, rappresentano qualcosa di completamente diverso da questi archetipi: non sono allineate, né dedite all’obbedienza, e fanno emergere piuttosto le componenti della istintualità, della sessualità, della insofferenza alle regole spinta fino alle estreme conseguenze.Nella Cabala e nelle antiche tradizioni ebraiche, per cominciare, è presente il Mito di Lilith, la prima biblica compagna di Adamo.
E’ Lilith la prima donna, non Eva. Troviamo nel Mito di Lilith uno dei primissimi fondamenti dell’archetipo della Grande Madre, nella sua accezione più inquietante e nel suo aspetto di Ombra. Non a caso Lilith è il nome della Luna Nera.
Queen of the Night (British Museum)
Le narrazioni che la riguardano parlano di una ribellione originaria. E’ proprio la sua indisponibilità alla sottomissione che l’avrebbe condannata alla solitudine, cacciata dalla condizione paradisiaca originaria e successivamente omologata dalla dottrina ecclesiastica alle forze oscure e demoniache. In effetti è proprio Lilith ad essere la capostipite di una serie di stereotipi come la strega, la donna tentatrice, la perdizione a causa della seduzione della femmina demoniaca, il mito della donna selvaggia. E’ chiaro che una narrazione come questa ha una funzione, ancora una volta, duplice: da un lato presenta una interpretazione non normalizzatrice della forza del Femminile, dall’altro postula la pericolosa assonanza tra due termini, ribellione e solitudine. Si tratta di un luogo comune e di un potente regolatore sociale, di qualcosa che è all’origine della uniformità e della omologazione. Tutti nasciamo con uno sconfinato, struggente, ineliminabile bisogno di appartenenza, tanto potente da poter sopprimere l’altro grande bisogno, quello di essere e di essere sé.
Riterrei pertanto utile potenziare nell’immaginario collettivo altri aspetti del Mito.
In realtà Lilith si pone all’inizio della creazione, e, come tale, assimilabile a tutte quelle narrazioni mitologiche che vedono la figura femminile come l’incipit del mondo. Nelle Isole Andamane, in India, si tramanda il Mito di Biliku, una enorme donna ragno, responsabile della creazione della Terra. Nella leggenda, Biliku, dopo aver tessuto la tela, si aggira nella “vasta notte vuota” modellando la Terra con le proprie antenne. Poi crea il fuoco e la luce, e colloca il tutto all’interno della trama universale.
Biliku è in fondo la Grande Dea Madre del Creato, e quindi del Figlio, inteso non solo come essere umano dalle origini divine (il Cristo nella tradizione cattolica) . Ella è proprio la creatrice di ogni cosa vivente e non vivente. La stessa figura divina al femminile viene raccontata in una varietà infinita di declinazioni, in tutte le culture, non solo quella indo-europea. Bellissima e potente, nella Mitologia Babilonese, c’è Tiamat, Madre del Cosmo, dea degli oceani, raffigurata come un enorme serpente dotato di corna.
. La battaglia tra Marduk e Tiamat nella Mitologia Babilonese
La ritroviamo in Grecia, come Thalatte (da “talassa”, che significa mare). Notiamo le potenti assonanze con l’immagine della Madonna, che, nel sincretismo religioso, assume funzioni che vanno ben al di là dall’essere generatrice del Salvatore.
Thalassa in un mosaico greco-romano
C’è poi un altro aspetto che merita grande attenzione. Ragno, serpente, teste leonine, musi di cani, uccelli : l’immagine della Grande Dea si traduce in raffigurazioni tratte dal mondo animale, tutte straordinarie metafore del legame tra la donna e la sfera degli istinti.
La Dea dei Serpenti (Creta, II Millennio a.c.) Figurina di Creta della Dea-Uccello sul trono (Cultura Vinca, Balcani IV e III sec. a.c.)
Ritroviamo diverse trasposizioni degli archetipi del femminile in quanto istintualità pura, a partire dal Neolitico, passando poi per le tradizioni Egizie, Greche, Romane. Sarebbe impossibile elencarle tutte, pertanto mi limito qui ad accennare ad una delle più antiche, e meno conosciute, figure mitologiche femminili di cui si trovano racconti scritti: Inanna.
Il Mito di Inanna si può collegare alla Dea uccello, quindi ad un periodo che risale addirittura ad un periodo precedente a quello dei Sumeri, all’interno delle civiltà indigene del Medio Oriente. Circa nel 2300 a.c. Enheduanna, figlia del grande re accadico Sargon (il primo re che sottomise l’intera Mesopotamia al suo potere) e prima sacerdotessa di Nanna, dio della Luna, scrisse numerosi inni dedicati alla dea. Gli inni sono scritti in cuneiforme su tavolette di argilla e questo è un’evento inedito: è la prima volta, per quanto ne sappiamo, che qualcuno usa la scrittura non a fini commerciali o per scrivere dei promemoria, ma per fare poesia.
Negli inni, Enheduanna chiama Inanna “Signora dal cuore immenso”: la descrive come una donna piena d’amore e di luce, ma anche come una belva assetata di sangue. E, in effetti, Inanna è la dea dell’amore, e rappresenta una femminilità prorompente e libertina. Ma è anche dea della guerra: protegge il suo popolo e distrugge in battaglia i suoi nemici i con i potenti artigli. In alcuni inni è chiamata anche hyeròdula, ovvero prostituta sacra. In ogni caso ha vari amanti, ma nessun marito. Nella forza della sua passionalità, c’è spazio per l’amore e per l’odio nello stesso istante. L’energia di Inanna è un’energia alchemica, di risoluzione degli opposti.
Molte sono le discendenti dall’antico archetipo di Inanna: Ishtar, dea accadica dell’amore, del sesso e della fertilità, e Afrodite, rimodellata per adattarsi alla mentalità patriarcale greca, ridimensionandone il potere.
Inanna viene anche assimilata agli archetipi delle dee dell’oltretomba come Persefone o Demetra. Il racconto delle sue gesta, infatti, descrive un viaggio nel mondo dei morti, durante il quale incontra il suo lato ombra, sua sorella Ereshkigal, signora dell’oltretomba che, per gelosia, la costringe con un inganno a restare per sempre laggiù con lei. Inanna riesce a liberarsi grazie agli aiuti divini e alla sua furbizia. E’ chiaramente presente nel Mito il tema del “lato ombra”, ovvero l’altra faccia della luce, quella di un altrove post trapasso.
Già migliaia e migliaia di anni fa dunque si raccontavano storie di discese iniziatiche nel mondo dei morti e di incontri con la propria ombra. Il tema dell’emersione dei lati più oscuri del nostro Io, già raccontato al maschile con la figura di Osiride nella tradizione egizia, nei culti mitrali e con Gesù nella tradizione cristiana, è dunque molto antico. In effetti, si tratta di un mito potentissimo, di vita, morte, trasformazione e ritorno alla vita, incarnato però in una figura femminile.
Ishtar raffigurata su un vaso del Louvre
Anche se si tratta di un femminile censurato dalle culture cattoliche, e , in generale, nelle religioni monoteiste, viene comunque prepotentemente fuori nelle tendenze sociali e negli (apparentemente) irrisolvibili conflitti personali basati su dicotomie. Non si può soffocare, né reprimere, vuol essere visto, accolto, integrato, e riconosciuto come forza attrattiva: una forza che si rivela senza mediazioni mentali, direttamente dalla pancia, nell’oscurità di un sogno o di un incubo, nella rivelazione di un lapsus, nel sintomo fisico e nella inaspettata folgorazione intuitiva di una produzione artistica.