24 Jan Il bramito del cervo

IL BRAMITO DEL CERVO

(Percorsi evolutivi, lavoro sull’ego e narcisismo sociale)

Premessa

Tra le varie discipline, oggi, vanno creati ponti. E’ finito il tempo degli arroccamenti, delle divisioni e dei compartimenti stagni. La scienza e la filosofia devono dialogare con la storia e con la medicina. 

Ebbene io penso che anche la psicologia debba aprirsi e costruire connessioni significative. Secondo me potrebbe acquisire un valore aggiunto se si confronta con quella che Steiner chiamava “Scienza dello Spirito”. Dobbiamo partire dall’idea che il cammino di crescita sia anche un cammino evolutivo. Ha un’anima. (1)

Se questo è vero, però, è vero anche il contrario. 

Mi spiego meglio: nella mia esperienza ho troppe volte osservato persone impegnate in percorsi spirituali i cui promotori sono del tutto disinteressati alle condizioni psicologiche di chi a loro si rivolge. 

Così, è molto frequente che un individuo immaturo, che non abbia consapevolezza dei propri blocchi psicofisici (per la mia scuola si parla più correttamente di livelli somatopsicologici), finisca, nella migliore delle ipotesi, con l’entrare in confusione. Nella peggiore, assistiamo alla completa perdita della realtà.

Una strada di crescita spirituale, che sia aconfessionale e laica o ancorata ad un credo, ha bisogno di basarsi saldamente sulla pratica quotidiana. Oggi si parla molto di energia: siamo esseri incarnati, abbiamo l’assoluta necessità di incanalare correttamente la nostra forza vitale e di tradurre in opere, e in relazioni umane, il risultato della nostra evoluzione. Questa è la vera sfida dei nostri tempi, fatta di continui aggiustamenti, autoanalisi, ricadute e ripartenze. E’ necessaria una dote principalmente: quella dell’umiltà.

I – Il lavoro sull’ego in quanto fardello di cui liberarsi

In questo articolo propongo un approfondimento specifico sul tema dell’ego.

Il lavoro sul proprio ego è il fondamentale pilastro di ogni strada di crescita.

Nella accezione accolta nella varie scuole tradizionali, da quella taoista, a quella buddista, a quella Vedico-tantrista, con ego non si vuole intendere la componente cosciente dell’io categorizzata in psicoanalisi. Ci si riferisce ad antichi sistemi di pensiero: tutte le pratiche di elevazione spirituale portano a considerare l’Ego come un fardello di cui ci si deve liberare.  Questo perché viene insegnato che la realtà è unica e le divisioni al suo interno, ad esempio fra Io e non/Io, sono solo apparenze. La fisica quantistica porta a considerazioni simili: la materia è unica, dinamica e fluisce perennemente come in una danza di continui mutamenti, come già aveva  intuito la Filosofia Tradizionale Cinese. 

In questa chiave l’idea di identità, e quindi di io, ha bisogno di una profonda revisione. Per esempio, l’individuazione di sé è un processo alchemico di raffinazione della personalità, e di ogni personalismo. Non si tratta quindi di liberarsi dall’identità, per divenire un essere amorfo, ma di trovare la propria vera ed autentica natura.

L’essere umano, come affermava Steiner,  è un ponte tra natura animale e natura angelica.

Quindi, in questo senso, termini come “annullare l’ego”, presenti nelle scuole spirituali, hanno un preciso riferimento ad un altro termine: liberazione dalla brama. 

“Brama” viene da un termine germanico ricostruito, brammōn, che significava ‘muggire’ e che ha avuto figli nelle lingue di tutta l’Europa occidentale. La brama è parente stretta del bramito — ossia del mugghio dell’animale selvatico, specie del cervo. 

Quindi questo termine ci riporta alla nostra parte animale: gli animali mugghiano , o bramiscono, in presenza di istinti come la difesa di un territorio. Nel termine sono comprese le azioni della sfida, dell’avvertimento, della conquista e del desiderio sessuale, inteso come sottomissione e possesso. 

In cosa tale natura animale differisce dalle nostre brame personali?  Qualcuno potrà osservare che in noi la brama si eleva a desiderio di conoscenza, di realizzazione, e di onori, o anche di ricchezza (che male c’è?).

Eppure, se ascoltiamo bene, anche  nei nostri desideri più elevati, come  quello di essere utili, di aiutare gli altri, o di fare una strada spirituale, c’è dentro la vibrazione eccitata di un bramito animale.

Oggi vediamo la preponderanza di valori come il successo e il potere. Le tendenze egoiche, autocentrate, narcisistiche (anche quando vengono spacciate per  altruismo), sono accentuate dai nostri contesti sociali: esse sono versioni rivedute e corrette dell’ insaziabile bramosia istintuale. Nulla è mai abbastanza per la loro fame smisurata.

Ritorniamo alle tradizioni spirituali e ai loro dettami: lo scopo principale del lavoro di elevazione è la  liberazione dall’identità, e quindi dall’Ego. E’ questa, affermano le scuole di crescita personale, la condizione essenziale per accedere all’illuminazione. 

Una volta, a questo scopo, ci si sottoponeva ad ogni sorta di pratica di mortificazione della carne. Lo potete riscontrare nelle vite dei santi. Oggi questa mortificazione non è necessaria.

Il vero lavoro di raffinazione della natura umana non consiste in pratiche estenuanti di digiuno, o nel recarsi in qualche luogo isolato in eremitaggio.

Questa strada ha valore solo nel confronto costante con la realtà quotidiana e all’interno delle relazioni che siamo in grado di costruire.

In questo confronto, possiamo talvolta ascoltare il “bramito del cervo”, della nostra natura animale. Ecco, se lo facciamo, siamo già consapevoli, siamo già in un cammino di trasformazione e raffinazione. Anche solo con il semplice ascolto.

Ciò significa che siamo svegli, che non subiamo passivamente le tendenze più primitive che influenzano noi stessi e l’ambiente di cui facciamo parte.

II – Pericoli e trappole 

Questo lavoro di autoconoscenza può talvolta richiedere un aiuto esterno. Un aiuto che ci accompagni nell’esplorazione della nostra caratterialità. Ci sono molte persone in cui questa caratterialità è fortemente imperniata sull’egoismo, sulla manipolazione per scopi personali, sulla scarsa empatia per i sentimenti altrui. In una parola stiamo parlando di una personalità di tipo narcisistico.

Quindi riflettiamo: cosa può scaturire dall’incontro con una personalità di questo tipo e un lavoro di abbassamento dell’ego? Qualcuno potrà osservare: un narcisista, o una narcisista, non si sottoporranno mai a questo tipo di lavoro. 

E allora come mai, si potrebbe obiettare, esistono così tante persone esaltate all’interno di diverse compagini religiose? Persone pronte a fare del male a se stessi, o ad altri, in nome di un credo religioso? Perché esiste l’integralismo, la contrapposizione tra diverse religioni, l’assoggettamento violento ad un sistema confessionale piuttosto che ad un altro?

La risposta a mio avviso è questa: se una persona narcisista si trova a contatto con un lavoro di annullamento dell’ego senza un lavoro terapeutico parallelo, deflagra.

Perché deflagra? Per una ragione principalmente: in una caratterialità narcisistica ciò che è carente, svuotato, atrofico, è proprio l’io. Il narcisista percepisce tale vuoto incolmabile e cerca di riempirlo in qualsiasi modo, anche a discapito di altri. Il suo obiettivo è uno solo: non crollare.

Ciò che viene percepito all’esterno è un io tronfio, gonfiato, prepotente, ma, in realtà, nessuno riesce a comprendere quanto sia misero il mondo interno di un narciso. Egli ha bisogno costantemente di riprove del proprio valore. Il suo bramito di potere non è altro che il vagito sconvolto di un bambino abbandonato e affamato. 

Può una creatura così vuota e povera, compiere un cammino di dissoluzione dell’io? Questa è una delle bestialità insite in molte vie cosiddette spirituali.

Nessuno può perdere l’ego se non possiede un io. E nessuno può elevarsi verso la natura angelica se non è cosciente della parte animale. Se non si è consapevoli dei propri vuoti, della paura dell’abbandono, della mancanza di sintonia con il mondo, non si riesce a cogliere quanto sia falsa la pista dei nostri desideri. Nel narcisista patologico, ma anche nella componente narcisista della nevrosi, tutto questo materiale viene rimosso per allontanare la sofferenza. Il risultato che deriva da questa rimozione è un falso sé. Quando questo accade non c’è un vero e proprio io, ma una corazza difensiva. L’immagine è quella di un guscio vuoto. La Medicina Tradizionale Cinese ha un ideogramma per questa condizione, che rappresenta una montagna cava. Fuori si percepisce durezza, ma è una durezza priva di solidità. Dentro non c’è nulla.

Per quanto mi riguarda ho in mente un’altra immagine ancora: quella di un manichino, una specie di robot dalle forme umane, che ha l’assoluta necessità di credere nella propria importanza personale. Si tratta di un bisogno legato alla sopravvivenza, di una difesa rispetto ad una continua ed incombente minaccia di disintegrazione di questo sé tanto blindato quanto falso.

Perché ho voluto prendere come esempio la caratterialità narcisistica?

III- Narcisismo sociale

Il fatto è che il nostro mondo è fortemente impregnato di narcisismo, nel senso che predomina un senso di individualismo, che promuove soprattutto l’interesse egoico, a discapito delle istanze di cura, altruismo, empatia, che sono parte della natura umana. Questo, come dicevo, porta a sviluppare forme di di rimozione della propria sofferenza, ma – attenzione – anche di indifferenza verso quella altrui. Si affievolisce la natura affettiva dell’agire, e, parallelamente, cresce la centralità sociale del sentimento egoico. Il mondo in cui viviamo incoraggia più il bisogno di emergere sugli altri che non la consapevolezza della nostra vulnerabilità e fragilità, più la superficialità della molteplicità di relazioni che non l’approfondimento dell’ autenticità nei rapporti umani. All’apice di questi modelli culturali si pone chi detiene il potere. E’ addirittura la classe politica che offre la migliore rappresentazione della “commedia della vanità”. Si è parlato molto, a questo proposito, della psicologia di personaggi di rilevanza mondiale. Come Donald Trump, per esempio. Lo psichiatra polacco Andrzej Łobaczewski, psicologo clinico, ha elaborato una propria teoria sulla natura del male studiata nella sua dimensione politica, coniando un termine ad hoc: la patocrazia, ovvero il quadro psicopatologico che affliggerebbe chi sale al potere, ad indicare un insieme di tratti psicopatici e antisociali (2).

Che fare?

Il lavoro di smantellamento di un ego ipertrofico va accompagnato da un terapeuta che sostituisca il rifornimento narcisistico compiuto ai danni dell’ambiente esterno (quante donne e uomini divorati da partner tossici?) con un nutrimento costante della parte autenticamente umana, e, soprattutto, con la capacità di tollerare il vuoto interiore che emerge nel momento in cui ci si contatta.

Emerge così il “piccolo io”, che si confronta con uno spazio smisurato e infinitamente potente, quello della natura e del pianeta che ci ospita. Questo senso di piccolezza, l’ascolto del bramito animale, e il dolore per la perdita delle illusioni su di sé e sul mondo, sono la verità più profonda di ogni persona che voglia iniziare un cammino di conoscenza. Non c’è conoscenza spirituale, e non può esserci una Scienza dello Spirito, senza un’etica umana che la sostenga.

 

(1) Esiste un ricchissimo filone di studi che individua i collegamenti tra spiritualità e psicologia. Si tratta di una ricerca che si traduce anche nella concretezza della pratica terapeutica (vedi terapie transpersonali). Per chi fosse interessato all’approccio della ecologia profonda invito ad approfondire la mia lettura metodologica su questo tema su questo blog (Teoria del doppio livello nel lavoro di prevenzione).

(2)  Per una trattazione esaustiva  vedi “Ponerologia politica”, dello stesso autore, Prima edizione  italiana 2012